mercoledì 4 gennaio 2012

GALSI, UN OCCASIONE E TANTI DUBBI

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Sovranità significa diritto di immaginare e praticare un proprio specifico progetto di sviluppo. Implica un processo profondo di Riforma istituzionale e nel rapporto fra lo Stato e la Regione che garantisca la piena esigibilità di tale diritto e una più forte autonomia sul terreno legislativo e sul piano delle risorse. In terzo luogo significa poter decidere, consapevolmente, del proprio futuro: sul piano economico, quindi anche in campo energetico, poter scegliere liberamente ed in coerenza con il proprio progetto di sviluppo.
Ed a guardare bene sono diverse le condizioni assenti allo stato attuale dell’arte: il nostro Statuto d’Autonomia è sistematicamente violato, tanto da una classe dirigente assai poco autorevole ed indipendente quanto da un neocentralismo dello Stato rieditato in una singolare versione nostrana di federalismo: nella morsa fra Patto di Stabilità e ostilità dei governi nazionali, laddove ai giganti del passato si sono sostituiti i nani del presente, l’Autonomia speciale (di fatto) non esiste più.
Peraltro non esiste un compiuto, organico, progetto di sviluppo che orienti le scelte verso ciò che pensiamo della Sardegna del futuro. Ed in questo vuoto dalle multiformi declinazioni sulla vicenda del metanodotto GALSI resta un nodo che nessuno (partigiani del si, partigiani del no) ancora ha risolto: quello di una informazione esaustiva, trasparente, sulle caratteristiche del progetto, sulle ricadute sul territorio, sui costi e sui benefici che realmente una metanizzazione dell’Isola fatta in questo modo dovrebbe portare.
Ed infatti la stragrande parte degli interventi pro o contro il metanodotto non chiarisce. Si dispone – con argomentazioni di principio o di approfondimento spesso generiche – lungo l’asse delle tifoserie. Perché non può chiarire. Perché chi avrebbe la responsabilità primaria di chiarire non risponde. Nemmeno quando da mesi viene depositata una interrogazione in Consiglio regionale che esprime non contrarietà ma legittimi dubbi: quelli di una parte del popolo sardo.
272 km lineari che tagliano l’Isola in diagonale (passando attraverso terreni, vigne, uliveti, siti archeologici ed aree marine protette) debbono essere oggetto della decisione consapevole del popolo che eventualmente decidesse di ospitarla. Non siamo nell’800 e non siamo nella Cina delle grandi evacuazioni di popolazione. E’ sacro ed è santo che le persone che abitano in un dato luogo sappiano. Tutto.
Proprio perché il tema dell’energia è snodo cruciale del futuro di ogni area del mondo, ivi compresa questa ed il suo possibile ruolo nel Mediterraneo, si dovrebbe aprire un confronto pubblico ampio, nei tempi necessari. Che sono quelli di una compiuta Democrazia.
E’ certo nessuno vorrebbe continuare a dipendere dai combustibili fossili. Alcuni tuttavia potrebbero legittimamente obiettare che nella terra del sole, del mare e del vento, sfruttare pienamente queste risorse potrebbe già essere fonte non solo di autosufficienza energetica (e di risparmio per famiglie ed imprese) ma occasione straordinaria di lavoro, esportazione di energia, pressoché totale azzeramento delle emissioni nocive per l’ambiente e per la salute delle popolazioni.
Perché non discutere anche su questo terreno. Quasi che non si potesse. Quasi che l’Eni, dopo la sua ritirata strategica dall’Isola che molti ricorderanno (con i deserti di disperazione che ha lasciato), potesse essere considerata una garanzia invece che una delle tante (e spregiudicate) multinazionali che si aggirano, come uno spettro, a violare le esistenze di milioni di persone.
Ed infine da partigiano penso che una cosa era la Regione di Renato Soru e del Centrosinistra, altra è la penosa parabola che stiamo vivendo. Oggi si rischia di essere (ri)colonizzati con due atteggiamenti mentali speculari, entrambi tuttavia ugualmente diffidenti della capacità di giudizio e scelta del proprio popolo.

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Salve,
considero molto interessante l’intervento ma mi permetto di disentire circa l’affermazione seguente: “la stragrande parte degli interventi pro o contro il metanodotto non chiarisce”. Il nostro Comitato è impegnato da oltre 4 anni sia per approfondire il progetto GALSI che per informare su quel progetto sia la popolazione che coloro che prendono la decisioni su quel fronte. Se i risultati ottenuti sono stati sinora mediocri questo non dipende certo ne da noi ne dalla gente. Dipende principalmente dalla stampa, dalle istituzioni e dalla “politica”. In questi 4 anni di impegno abbiamo constatato, purtroppo, che: la stampa ci oscura e ci pubblica qualcosa solo quando contribuisce a fomentare il prurito di qualcuno. Le istituzioni assumono le informazioni necessarie a fondare le loro decisioni unicamente su: ciò che non-riporta la stampa; ciò che dichiarano le parti interessate (GALSI, etc..); ciò che si inventano politicanti da strapazzo che, grazie al dibattito sul GALSI, acquistano visibilità che altrimenti non avrebbero. Per buona parte della “politica” valgono le medesime considerazioni fatte sulle istituzioni, con l’aggiunta che, mentre queste ultime hanno almeno la faccia tosta di prendere una posizione (senza essersi documentati in merito), la “politica” naviga a vista, anche nascondendosi dietro la carenza di informazioni.Informazioni che, stranamente, un gruppo di semplici cittadini e cittadine è riuscito ad avere, ad elaborare e analizzare e che, invece, gli stessi partiti stanno ancora ricercando, neppure tanto affannosamente. Nel frattempo vengono prese decisioni devastanti per il futuro nostro e dei nostri figli e figlie.
E il GALSI non è che una di queste.
Grazie per l’ospitalità
Sergio – Comitato ProSardegnaNoGasdotto

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Mi permetto di intervenire, partendo da uno spunto che mi offre Giampiero: “Questo levare di scudi come tante pecore una dietro l’altra contro il gasdotto mi pare più seguire una moda che non una protesta sensata”.
Credo personalmente che ci siano molte piu’ informazioni sull’analisi del progetto,le criticità e le giuste perplessità, elaborate e presentate da chi è contrario al Galsi (badate bene, dico Galsi e non metanizzazione dell’Isola). Totale assenza di analisi, dettagli e risposte, viene rilevata da parte di chi dovrebbe rispondere davvero:le istituzioni. Meno dagli stessi partigiani del si a tutti i costi(a tale proposito Michele, non mi trovi d’accordo nel mettere “le due posizioni” nello stesso calderone). La speranza di quella ripresa economica che porterebbero i modelli esogeni di sviluppo imposti, sembra segnarci nel DNA, storicamente, come se davvero risultassimo essere quel popolo descritto così offensivamente nei report della CIA decenni fa. Ora, quando analizzavo il progetto, quando cercavo di rilevare i vantaggi nel mezzo di una serie infinita di problemi, non ho trovato (ed ancora ad oggi non ci sono riuscita) elementi che permettano di valutare questa “opportunità” di cui si parla in maniera pericolosa e populista. Perchè, il progetto è nudo, è un tubo. Nei paesi “sviluppati” le opportunità nascono da progetti integrati, previsioni, strutturazione e studi per e nei territori, prima di esprimere pareri positivi sul nulla. Tutto questo, se si legge il progetto del Galsi, non c’è. Non esistono progetti di collegamento. Meno, allo stato attuale del discorso, i soldi per finanziarlo. Si parla di 150 milioni di euro in finanziaria, che chiaramente come tante altre previsioni vincolate alla vertenza entrate, patto di stabilità etc.non siamo sicuri che ci siano. Anche se ci fossero, non sappiamo a che cosa sono destinati: quota di partecipazione al progetto?Perchè certo il collegamento per far arrivare il gas “nelle case di tutte le famiglie sarde”, non costa 150 milioni di euro e non lo paga GALSI. Non costano 150 milioni neanche le centrali che dobbiamo costruire per trasformare il gas in energia elettrica che servirebbe alle “nostre” imprese.Meno sono conteggiati i soldi che ogni famiglia dovrà pagare se decidesse di avere tale “opportunità” in casa. Si ipotizza che l’operazione di metanizzazione dell’isola, senza conteggiare il progetto GALSI, possa aggirarsi intorno ai 4 miliardi circa (euro). Sempre parlando della valutazione di “opportunità”, c’è chi parla di 10.000 posti di lavoro, che negli ultimi anni si sarebbero ridotti a 2000, conteggiati con improbabili teorie sulle manutenzioni degli impianti, camerieri negli alberghi che ospiteranno chi davvero verrà a lavorarci: la Snam. Perchè sappiamo bene che per il gasdotto, uno dei piu’ grandi al mondo, purtroppo le ruspe che abbiamo in loco, a poco servono. Evito il discorso Ecologista, che avvolte sta stretto anche a chi fa parte di Sinistra Ecologia e Libertà. Quindi non mi soffermo sui dettagli dell’attraversamento dei corsi d’acqua, del vulcano Quirino,della poseidonia, della pinna nobilis, dei problemi vari per flora e fauna. Non mi soffermo sul discorso dei terreni espropriati, non tratto neanche il tema dei lavori persi (che di fatto definerei meglio delle “economie locali perse”), non tratto il tema culturale della distruzione della memoria storica (quella si, grande opportunità e “modello di sviluppo”). Non tratto il tema della corruzione, del fatto che il popolo sardo (nella Sfirs) ha partecipazione quasi pari ad Hera (multiutility del’Emilia Romagna- che ha circa un 10%- sospettata di essere coinvolta nell’affare cosentino). Non mi soffermo sulla geopolitica, sulla Russia e sull’ Algeria. Non mi soffermo sulle valutazioni dei prezzi del gas allo stato attuale del mercato energetico, della quantità delle risorse a disposizione. Non mi soffermo sulla possibile tempistica di progettazione, concessioni, autorizzazioni, VIA, etc. per quanto riguarda le reti di collegamento. Non mi soffermo. Dico solo che alla fine della fiera, forse se trasportiamo il metano via mare dall’Algeria per i prossimi 10/15 anni, mentre raggiungiamo l’obbiettivo della transizione verso le rinnovalibili, ci guadagnamo, ci concentriamo sulle NOSTRE reali opportunità e ci dirigiamo con una strategia e programmazione diretta alle economie locali e con la coscienza pulita, verso le future generazioni e verso la nostra sovranità.


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