mercoledì 4 gennaio 2012

Un paradiso sacrificato all'industria metallurgica.

Non è neanche citato nelle guide turistiche del comune di Portoscuso; non esiste uno foto che lo pubblicizzi, quasi a esorcizzarne la sua vicinanza alla presenza pestifera delle industrie.
Perfino i giovani si sono dimenticati dell'antico nome di " Is Canneddas", sacrificato in favore del personaggio che fu l'artefice della sua distruzione e annichilimento: Carlo Baudi di Vesme.
Eppure ciò che rimane dei 7 Km originari della splendida spiaggia può ancora essere considerato senza alcun dubbio, per la sua bellezza struggente, costituita dal compendio di dune, stagno e la spiaggia di sabbia bianchissima, una della meraviglie che possono essere ammirate tra i 1200 km di costa della nostra terra.
La sua triste storia è legata indissolubilmente alla storia della colonizzazione della Sardegna.
A partire dalla metà del XIX nella zona sud-occidentale dell'isola di Sardegna, il Sulcis-Iglesiente, iniziò lo sfruttamento in senso capitalistico delle miniere di piombo e di zinco, all’epoca considerate tra le più redditizie al mondo. La Società di Monteponi, Regia Miniera presso Iglesias, che gestiva la miniera situata a circa tre chilometri dall'antica città di Villa di Chiesa del Sigerro (Iglesias), realizzò nel comune di Portoscuso un nuovo porto per il trasporto dei minerali. La località prescelta era denominata Is Canneddas, ma in onore dell'ideatore di quel porto, il presidente di quella società e storico insigne, il conte Carlo Baudi di Vesme, fu rinominata Portovesme.
Oggi, a ferire la sua sua bellezza ci sono i camini delle grandi industrie a cui si sono aggiunte recentemente 39 pale eoliche gigantesche; ma la cosa più sconvolgente sono i km di frangiflutti di blocchi di trachite posti a protezione dell'immensa discarica dei fanghi rossi, residui delle industrie, contro i quali la barriera doveva costituire un argine all'eventuale contato tra il mare e i veleni.
Tuttavia, oggi, è ancora miracolosamente sopravvissuto un tratto di quella splendida costa, quasi sconosciuta agli abitanti della zona, superbo e unico, a testimonianza dell'ignoranza e il servilismo delle generazioni sarde verso lo straniero.

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